Il clima, l’economia la svolta verde (e i timori)

Articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera , 8 Agosto 2021.

INEVITABILE LA SVOLTA VERDE EUROPEA. La posta in gioco è la creazione di nuovi posti di lavoro verdi che sostituiscano quelli legati all’economia dell’inquinamento. Una stagione di populismo sui temi del clima è alle porte?

articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera

8 Agosto 2021

Se Amazon tiene il suo ritmo di espansione del 2021, con il suo fatturato supererà il prodotto interno lordo dell’Italia fra sette anni. Ci può consolare il fatto che ci concede qualche tempo in più, perché ai suoi ritmi di crescita dell’anno scorso avrebbe fatto il sorpasso nel 2024. O possiamo sempre dirci che il problema non è solo italiano, perché fra poco più di un decennio le cinque Big Tech — Apple, Alphabet, Microsoft, Facebook, oltre a Amazon — insieme possono superare il fatturato lordo dei 19 Paesi dell’area euro.

Vero, la loro progressione non continuerà così all’infinito. Ma prima della pandemia prospettive del genere non si affacciavano neanche all’orizzonte e ora invece racchiudono una lezione: l’ultimo anno e mezzo non ha fermato la globalizzazione, al contrario ne ha accelerato i processi che stanno entrando in ogni quartiere delle nostre città. Il Covid ha reso il cambiamento più veloce.

Ma cambiamento verso dove? L’Europa è in seconda fila nella rivoluzione tecnologica, ma almeno una risposta cerca di darla: il compito delle nostre generazioni è fermare il cambio climatico, a cui peraltro stanno dando un robusto contributo le enormi agglomerazioni di server (il «cloud») che fungono da sistema nervoso centrale delle Big Tech. Se non facciamo nulla, il pianeta potrebbe diventare invivibile prima di fine secolo; se faremo troppo poco rischia di diventare inospitale e di costringere miliardi di persone a migrare.

La scienza su questo è univoca: il consumo di combustibili fossili va ridotto drasticamente, al più presto, e per questo la Commissione europea ha appena presentato centinaia di pagine di nuove proposte di legge. Si propone che l’ultima auto con motore a combustione interna venga venduta in Europa tra 14 o al più tardi tra 19 anni. Si prevede di tassare di più l’energia tradizionale per il trasporto aereo e su strada e di introdurre costosi diritti di inquinamento da acquistare non solo per poter produrre ferro, acciaio, cemento o piastrelle — dove sono già una realtà — ma anche per il riscaldamento domestico o il trasporto privato. Si progetta un dazio all’importazione di beni dal resto del mondo prodotti inquinando, ma il costo di queste tariffe è a carico dell’importatore europeo che dovrebbe comprare certificati a questo scopo.

L’impianto non fa una grinza, dato l’obiettivo. E l’obiettivo non fa una grinza. Restano da vedere però le conseguenze sociali. Perché non riguardano solo i minatori polacchi e le 445 persone ancora impiegate nell’estrazione del carbone in Italia nel 2019 (secondo l’Inps). Lo scenario di una società spezzata in due ormai è più di un’ipotesi: da un lato gli azionisti, gli imprenditori e i manager del digitale che prosperano dentro o attorno alle cinque Big Tech; dall’altro maggioranze di esclusi dai grandi benefici della rivoluzione tecnologica e impoveriti dai vincoli ambientali.

In Italia i settori tradizionali che subirebbero direttamente l’impatto delle nuove misure sul clima sono più di quaranta e i loro addetti 2,1 milioni (in base ai dati Istat), un decimo degli occupati nel settore privato. Senza contare l’indotto. Le filiere più esposte sono quelle dei combustibili fossili, dei minerali e dei metalli, le industrie del legno, della carta, delle gomme e plastiche, buona parte della chimica, la pesca, l’aviazione sul corto raggio, la produzione di vernici, fibre sintetiche, cemento, piastrelle (queste ultime escluse per ora anche dagli aiuti di Stato legati ai certificati d’inquinamento); poi le fonderie, la fabbricazione e riparazione di motori di ogni tipo e naturalmente tutta l’industria dell’auto e degli autobus a combustione interna, oltre alla componentistica. Per non parlare delle piccole imprese e delle famiglie ad ogni livello di reddito, alle quali in prospettiva di pochi anni viene chiesto di procurarsi una costosa vettura elettrica e di pagare in certificati verdi il diritto d’inquinare per riscaldare la propria casa o andare al lavoro in auto.

Pascal Canfin, il deputato del partito di Emmanuel Macron che presiede la commissione Ambiente all’europarlamento, definisce alcune di queste misure «politicamente suicide». Ma l’esperienza dei Gilets Jaunes non è stata una lezione solo per la Francia. Allora la rivolta dei dimenticati contro l’incremento del carburante deciso per ragioni ambientali nel 2018 fu ritirato fra le proteste. Ora il progetto europeo che va sotto il nome di «Fit for 55» — per abbattere entro il 2030 le emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 — ha le tutte le caratteristiche per generare una reazione simile in tutta Europa, ma al cubo. Dopo quella contro l’euro di pochi anni fa, una stagione di populismo sui temi del clima può essere alle porte.

Il governo di Mario Draghi ha scelto un approccio pragmatico, il solo possibile. Discretamente, ha avviato una serie di «comitati tecnici di valutazione» per misurare l’impatto di «Fit for 55» in Italia e poi prendere posizione a Bruxelles. Probabile che molte delle proposte di legge finiscano per uscire ammorbidite, per adesso. Ma di recente sul Corriere Carlo Bonomi di Confindustria e Maurizio Landini della Cgil per una volta hanno fondamentalmente lanciato lo stesso messaggio: noi italiani non possiamo pensare di fermare il cambiamento; dobbiamo organizzarci per non subirlo, ma coglierne al meglio le opportunità. Spesso in passato non è andata così. Su Foreign Affairs l’italiano Simone Tagliapietra scrive che la trasformazione verde rappresenta oggi quel che la globalizzazione fu negli anni 80: la svolta che cambia tutto. Ma in Italia l’ascesa della Cina per esempio l’abbiamo capita molti anni in ritardo e nel frattempo aveva già spazzato via decine di migliaia delle nostre imprese. Come evitare di ripetere ora gli stessi errori?

L’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili stima che le nuove fonti creeranno circa 300 mila nuovi posti in Italia e l’Agenzia internazionale dell’energia (in «Net zero by 2050») ci dice che due terzi dei lavori «verdi» saranno a competenza elevata. Per ora però abbiamo il tasso di laureati adulti più basso d’Europa, dopo la Romania. Tanto nel ministero dello Sviluppo che del Lavoro manchiamo di centri di analisi per capire le tendenze e i bisogni. E i due dicasteri neanche si parlano per disegnare le politiche industriali, di formazione e di ricollocamento che servirebbero. La strada è lunga. Il tempo per mettersi in cammino era ieri.

 

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