(NOTA: Nel 2019, a ridosso del COP 26 di Glasgow, Raniero Regni scrisse questo pezzo sulla disinformazione. Lo riproduciamo qui perche’ ci sembra ancora piu’ attuale ora, che la crscente divergnza tra norme europee e ottuso negazionismo dei governi italiani e’ diventata palesemente insostenibile.)
Imbroglio climatico, il titolo richiama un libro di cinquant’anni fa, L’imbroglio ecologico, che preconizzava quanto poi si è realizzato, ovvero non che l’ecologia fosse un imbroglio, tutt’altro, ma che gli allarmi degli scienziati venissero a loro volta messi in dubbio, negati e imbrogliati, in modo tale da non cambiare modello di sviluppo.
Si è iniziato negli anni ’70 del secolo scorso con lo scoprire e denunciare i limiti dello sviluppo e quindi la necessità di dare vita ad una “primavera ecologica”. Eppure dopo la crisi petrolifera, i soliti attori economici della megamacchina industriale hanno continuato sulla stessa linea. Poi c’è stata la svolta del ’92, con la conferenza di Rio e si è inaugurata la stagione dello sviluppo sostenibile, un ossimoro, una contraddizione in termini che rendeva accettabile ciò che non era possibile, che cominciava a dipingere di verde qualcosa che non era affatto sostenibile, ovvero che tutto l’intero globo potesse consumare come i paesi ricchi. Adesso è il momento della Transizione ecologica, tenuta a battesimo dal nostro ministro Cingolani, che non ha niente a che fare con l’ecologia. La transizione deve essere lenta, affidando l’operazione a quelle forze produttive che sci stanno esponendo al disastro climatico, con in più una fiducia cieca nelle soluzioni tecnologiche.
Oggi, a pochi giorni dal decisivo summit sul clima di Glasgow, abbiamo un’ultima occasione per cambiare rotta decisamente, sia sulle politiche ambientali che su quelle climatiche, due questioni che sono strettamente connesse fin ad essere una sola. Infatti all’imbroglio ecologico si è unito oggi l’imbroglio climatico, ovvero il feroce dibattito sul clima che è iniziato con il negazionismo. Quando la comunità scientifica si è mostrata tutta concorde sul fatto che stiamo modificando il clima e che dobbiamo arrestare il sistema termo-industriale dissipatore di risorse e climalterante, si è cercato di usare altre strategie. Quella di dividere i movimenti ambientalisti, quella di minimizzare gli allarmi. Quando finalmente tutti hanno preso coscienza di fronte ai disastri ambientali di un clima ed una natura impazzite, vedi l’ultimo Medicane, uragano mediterraneo, che si è abbattuto sulla Sicilia, ci si è affidati alle soluzioni-non- soluzioni.
Ma vediamo più in dettaglio questa vera e propria strategia di disinformazione tesa a ingannare di fronte all’evidente minaccia climatica. Ci rifacciamo al libro del grande climatologo statunitense Michael Mann, La nuova guerra del clima. La battaglia per riprenderci il pianeta (Edizioni Ambiente, 2021). È cominciata tanti anni fa, ad esempio, con il problema del DDT negli anni ’60, con le piogge acide negli anni ’80 e poi con il problema del buco dell’ozono negli anni ’80 del secolo scorso. Quando ricercatori accademici e scienziati esponevano le loro evidenze scientifiche, altri scienziati legati però a imprese portatrici di interesse, sostenevano tesi contrarie o che attenuavano o minimizzavano i dati. La prima arma usata da questi ricercatori, finanziati sostanzialmente dai produttori di rischio ambientale, era diffondere il dubbio. Il dubbio è salutare nella ricerca della verità ma qui veniva usato come arma di depistaggio e quindi di inganno. Si insinuava il dubbio per disorientare l’opinione pubblica e le decisioni dei politici. Per fortuna la ricerca scientifica raggiunse un consenso tale che il DDT fu messo al bando, le piogge acide dovute alle industrie che utilizzavano il carbone senza alcun filtro cessarono o vennero molto ridotte, i gas volatili che danneggiavano l’ozono vennero messi al bando. Si è trattato di guerre per la salute che hanno avuto un lieto fine. Negli anni ’90 sono iniziate le guerre per il clima. E la strategia iniziale è stata la stessa. Alle prime pubblicazioni che denunciavano il riscaldamento dovuto alla combustione di petrolio, carbone e metano, ovvero dei combustibili fossili climalteranti, le grandi imprese crearono centri studi prezzolati per confutare quelle ricerche. Un’altra strategia è stata ed è tuttora quella degli attacchi personali per demolire gli scienziati che sostenevano che fosse l’azione umana a modificare il clima piuttosto che le variazioni dell’irradiazione solare, ad esempio. Fino a quando ci fu una convergenza dei gruppi di ricerca internazionali che rendeva l’idea incontrovertibile.
Tra le forme più insidiose di disinformazione c’è la distrazione di massa che punta sulla modifica dei comportamenti personali e sulle azioni individuali, spostando l’attenzione dalle decisioni politiche collettive, che sole possono incidere davvero. Invece si propaganda l’idea che la soluzione dei problemi non è la regolamentazione dell’industria ma è l’azione individuale. Il perché è chiaro: per il liberismo ogni provvedimento normativo è dannoso per l’economia.
Un esempio famoso, almeno negli Stati Uniti, è lo slogan “i fucili non uccidono le persone, sono le persone a uccidere le persone”, slogan sostenuto dall’associazione dei produttori di armi che cercava di spostare l’attenzione dalla facile accessibilità commerciale delle armi in USA ai problemi psichiatrici.
Altra strategia è la creazione di gruppi di copertura da movimenti dal basso. Come quello nato sempre negli States per sostenere l’idea che non fossero le sigarette a provocare molti incendi casalinghi ma la mancanza di sostanze ignifughe nei mobili, per cui si realizzò un’alleanza tra le industrie delle sigarette e quelle chimiche che crearono i ritardanti di fiamma, rivelatisi poi dannosi per la salute. Forme di narrazione convincenti ma false che vengono promosse su tutti i media, oggi soprattutto sui social, diventate oggi sempre più frequenti.
“Esistono schiere di “inattivisti del clima”, come li chiama brillantemente il già citato Mann, che hanno cercto di boicottare e boicottano le azioni per il clima promuovendo soluzioni – il gas naturarle, la cattura e il sequestro del carbonio, la geoingegneria, o addirittura il nucleare, che non risolvono affatto il problema. “Parte della strategia – osserva M. Mann – consiste nell’utilizzare parole e termini rassicuranti, come combustibile ponte’, ‘carbone pulito’, ‘adattamento’ e ‘resilienza’, per dare l’illusione di agire quando in realtà si tratta solo di promesse vuote”. Sono le soluzioni-non-soluzioni, la forma più pericolosa di imbroglio dell’opinione pubblica. Espedienti che servono solo a procrastinare quelle decisioni che sole potrebbero evitare il disastro, con una forma di “ritardo predatorio” e autodistruttivo. Sono azioni in malafede, ma lo sappiamo, come sosteneva Sartre, che la malafede è costitutiva dell’umano. Per cui noi finiamo per essere allo stesso tempo coloro che ingannano e coloro che vengono ingannati.
L’obiettivo di tutte queste forme di distrazione di massa è quello di sabotare, attraverso sotterfugi e inganni, le soluzioni sistemiche che potrebbero andare a svantaggio degli interessi economici che difendono. Invece il tempo stringe e non possiamo permetterci ritardi. Ma su questo sarà necessario tornare a riflettere ancora in questa rubrica. Concludo con una domanda. Spesso i negazionisti sono finanziati da industrie interessate a negare gli effetti delle loro attività. Al contrario, gli scienziati che vengono da questi accusati di allarmismo e di dati eccessivi, da chi sono finanziati? Dalla natura, dalla salute, dai cittadini? Ha ragione un mio amico, autorevole medico per l’ambiente, impegnato su più fronti locali a difesa della salute e della qualità delle matrici ambientali, il quale inizia ogni suo intervento in situazioni ufficiali affermando che, come scienziato, non ha nessun conflitto di interesse nei confronti del tema in questione. Sarebbe una buona abitudine per tutti gli studiosi e tutti i tecnici coinvolti, tutti i livelli, nelle dispute intorno all’inquinamento, fare sempre questa preliminare e onesta dichiarazione.