da Altraeconomia: Cemento. Arma di costruzione di massa (recensione)

AMBIENTE / OPINIONI

In difesa del “tappeto magico” del suolo, minacciato dagli affari dell’“abitudine al cemento”

Esce in libreria la nuova edizione del saggio “Cemento. Arma di costruzione di massa” di Anselm Jappe, edito da elèuthera. Un libro coraggioso che ripercorre la storia del materiale, il suo legame con l’economia capitalista e i suoi danni, ambientali, culturali ed economici. La postfazione è curata dal direttore di Altreconomia, Duccio Facchini

© Eleuthera edizioni

“Terreni e suoli sono risorse fragili e limitate, soggette alla pressione di una sempre crescente ricerca di spazio: l’espansione urbana e l’impermeabilizzazione del suolo consumano la natura e trasformano preziosi ecosistemi in deserti di cemento”. Se Anselm Jappe è l’autore di una “fuorviante”, “inesatta”, “superficiale” e “faziosa” opera contro il cemento, come ha fatto sapere a chi scrive l’ufficio stampa della Federazione delle associazioni della filiera del cemento (Federbeton, organo di Confindustria), che cosa dovremmo dire allora della Commissione europea? Il citato monito comunitario sui “deserti di cemento” che consumano i suoli fa il paio con le parole del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Nel 2023 -l’anno probabilmente più caldo della storia secondo le rilevazioni dell’Osservatorio europeo Copernicus- l’ex primo ministro del Portogallo ha indicato infatti a più riprese e in modo esplicito l’inizio del “collasso climatico” e l’ingresso “nell’era dell’ebollizione globale”. 

Ha senso in questo quadro drammatico barattare un ecosistema essenziale come il suolo, un “tappeto magico” che richiede migliaia di anni per riprodursi di pochi centimetri, con degli aridi “deserti di cemento”? A chi giova distruggere in modo irreparabile una risorsa sostanzialmente non rinnovabile e che il Parlamento europeo ci ricorda esser “complessa, multifunzionale e vitale, di importanza cruciale sotto il profilo ambientale e socioeconomico, che svolge molte funzioni chiave e fornisce servizi vitali per l’esistenza umana e la sopravvivenza degli ecosistemi affinché le generazioni attuali e future possano soddisfare le proprie esigenze”? 

Il punto è questo: nella lotta per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici stiamo deliberatamente scegliendo l’alleato sbagliato. Non è colpa del materiale -senza voler con questo sminuire il “monotono regno” del cemento trattato da Jappe-, è colpa nostra. E lo sappiamo da decenni. Non si contano più i richiami e gli appelli che l’Unione europea e le Nazioni Unite stesse -sulla base di consolidate evidenze scientifiche- fanno agli Stati per la tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, del riconoscimento del valore del capitale naturale. Sappiamo che per il suo valore intrinseco, il suolo naturale deve essere tutelato e preservato per le generazioni future. Sappiamo che i nostri suoli stanno soffrendo (secondo le stime tra il 60% e il 70% dei suoli nella Ue non è affatto in buona salute). Sappiamo che l’impermeabilizzazione è la principale causa del loro degrado. Sappiamo che “il nostro futuro dipende dallo strato sottile che si estende sotto i nostri piedi” (ancora la Commissione europea). Sappiamo che i suoli che godono di “buona salute” sono il più grande deposito di carbonio del pianeta, che assorbono acqua come una spugna e che riducono il rischio di allagamenti e siccità.