Riassumiamo qui uno studio pubblicato da McKinsey, la più famosa società di consulenza aziendale al mondo,  che spiega come l’ industria del cemento potrebbe uscire dalla crisi ambientale e di mercato in cui versa attualmente. L’ articolo di 8 pagine è datato novembre 2024, e si intitola La futura industria del cemento, una nuova età dell’ oro cementifera ? [1]

In sintesi, l’ industria del cemento deve  affrontare il nodo della emissione di quantità enormi di CO2 . Finché  non lo scioglierà, le aziende saranno obbligate ad acquistare crediti di CO2 sul mercato, con aggravio di costi e incertezza sul loro valore come investimenti.

Il solo modo attualmente a disposizione delle cementerie per mantenere gli utili e il valore dei loro investimenti è di funzionare da pattumiera per le economie industriali: in parte impiegando gli scarti (di petrolio, plastica e pneumatici) come combustibile, e in parte mescolando al  cemento gli scarti della lavorazione di altre industrie,  in particolare carbone e acciaio. Questo rapporto di McKinsey tratta solo il secondo caso.

Con entrambi i metodi le cementerie sostengono di migliorare l loro bilancio di emissione di CO2. Tuttavia, il miglioramento è  quasi esclusivamente un artificio contabile: green washing.

Inoltre, riciclando i rifiuti di altre industrie le cementerie rimettono in circolazione anche tutte le sostanze nocive, tossiche, e  inquinanti  contenute in quei rifiuti: emettendo diossine in aria quando bruciano plastica, e sparpagliando metalli pesanti nelle nostre città  scuole, ospedali e case quando producono cemento e  materiali compositi con gli scarti delle lavorazioni industriali.  Questo tema non è  mai sollevato nel rapporto di McKinsey.

 

LO STATO DELL’ INDUSTRIA CEMENTIERA

McKinsey prevede che la domanda mondiale di cemento (in tonnellate) comincerà a calare dopo il 2050. In Europa la domanda sta già calando: da 145 milioni di tonnellate nel 2023 a 122 milioni nel 2035. In Italia cala da tempo: negli ultimi vent’anni il numero dei cementifici è  sceso da più di 40 a circa 20. La produzione è scesa in Italia da 40 milioni di tonnellate a meno di 20. Le cementerie sono ancora troppe e ne andranno chiuse nei prossimi anni, poiche’ , per essere in utile, un impianto dovrebbe produrre al minimo 1 Ml di t. In Italia ci sono quindi 6/7 impianti di troppo (dal rapporto Federbeton 2023).

Paradossalmente, la domanda di cemento si manterrà più alta dove si dovranno costruire infrastrutture per contenere i danni del cambiamento climatico.

D’ altra parte, i costi aumentano. McKinsey sostiene che la decarbonizzazione nell’ industria del cemento dovrà avvenire tramite cattura della CO2, ma le tecniche di cattura sono poco affidabili. Quando  anche funzionassero, ridurre le emissioni di CO2 comporterebbe il raddoppio del prezzo del cemento. [2]

Per conseguenza, il valore che il mercato attribuisce alle aziende cementiere si è  dimezzato: la valutazione delle aziende cementiere è  scesa da 8 o 9 volte l’ EBITDA[3]   nel 2014, a   4-5 volte nel 2024 . Per confrontare tra loro comparti industriali diversi gli investitori calcolano il rapporto tra capitalizzazione di borsa di una azienda e i suoi utili lordi di un anno (EBIDTA). Quel rapporto  genera una graduatoria dei rendimenti che il mercato si aspetta investendo in questo o quel comparto industriale.  Si consideri che la valutazione media di tutto il settore industriale nel 2024 era di 14 volte l’ EBIDTA[4]. Dunque, un investimento nel cemento che ha un moltiplicatore di 5 volte l’ EBIDTA  “vale” solo un terzo della media degli altri investimenti industriali.

 

LA PROPOSTA INNOVATIVA

Ridurre le emissioni di CO2 nelle cementerie è  indispensabile: se fosse un paese, l’ industria globale del cemento sarebbe il terzo maggior emettitore di CO2 (con il 7%) dopo USA (34%) e Cina (12%).

McKinsey sostiene che per farlo l’ industria cementiera deve innovare il prodotto: mescolando cemento con nuovi componenti detti SCM (materiali cementizi supplementari) si potrebbe produrre  cemento con minori emissioni di CO2. Per arrivare a quell’ obiettivo è  però necessario investire in nuovi impianti e nuove tecnologie, e chiudere gli impianti obsoleti.

Se gli operatori del settore coglieranno l’opportunità dell’SCM, l’industria del cemento potrebbe ricominciare a crescere, con strutture aziendali più interessanti (anche se con il consolidamento di alcune attività esistenti) e rendimenti senza precedenti per il restante capitale investito. (p 2)

Secondo McKinsey il ravvedimento climatico di questa industria insalubre di prima classe è  possibile, la tecnologia esiste, ma occorre che i cementieri mettano mano al portafoglio.

Ecco alcuni estratti dallo studio:

Gli SCM e i riempitivi possono sostituire il clinker (il componente più emissivo del cemento) nei conglomerati cementizi, riducendo in alcuni casi il profilo di emissioni del cemento del 70-80%.Gli SCM tradizionali includono le ceneri volatili, le scorie granulate macinate d’altoforno (GGBFS) e il fumo di silice, mentre gli SCM e i riempitivi innovativi includono l’argilla calcinata, l’aumento dell’uso del calcare e il calcestruzzo riciclato. (p.3)

Altre forme di SCM innovative, con una emissione di CO2 molto bassa impiegano come riempitivi le scorie dei forni   a ossigeno basico (BOF) e le scorie dei forni elettrici ad arco (EAF) provenienti dalla produzione dell’acciaio, oltre ad altri processi siderurgici, e ad altri flussi di rifiuti.

McKinsey conclude che questi riempitivi consentirebbero di  produrre più tonnellate di cemento a parità di clinker prodotto, generando per conseguenza meno CO2.

I dati empirici pero’ sono meno rosei. Per esempio, al cementificio di  Monselice su una produzione di Clinker di circa 400.000 t/anno si arriva a riusare in miscelazione della Marna non più di 20.000 t/anno di scorie di fonderia e 5000 t/anno di scorie di incenerimento. La tecnologia è già satura.  Anche cosi’, si generano circa 850 kg di CO2 per ogni 1000 kg di clinker prodotto.

Alcune delle ipotesi di McKinsey poi non sono tecnicamente perseguibili, almeno in Europa: Addizionare con ceneri da carbone il cemento genera un prodotto meno ricercato, inoltre le centrali a carbone chiuderanno a breve, e dunque le ceneri andrebbero importate.

 

 

CONSOLIDAMENTO DEL COMPARTO DEL CEMENTO

Nonostante la frammentazione dell’ industria su scala globale, oggi i mercati nazionali sono concentrati, con solo tre o quattro concorrenti, di cui qualcuno piccolo e qualcun altro appartenente a grandi gruppi. Mc Kinsey ritiene che la necessità di decarbonizzare accelererà la concentrazione:

Prevediamo che i mercati locali si apriranno per diventare  sempre più regionali con l’aumento delle pressioni per la decarbonizzazione e i fornitori troveranno sinergie attraverso le economie di scala. Con i prezzi e i margini più alti del cemento a basse emissioni di carbonio, le aziende potrebbero sostenere costi di trasporto più elevati, consentendo loro di espandere la propria impronta (in particolare se gli operatori possono impegnarsi nei mercati emergenti per certificati verdi) (p.5)

McKinsey prevede quindi che la decarbonizzazione opererà una selezione naturale, lasciando in vita solo i cementifici più moderni e le grandi aziende con maggiori capacità di innovare e investire:

Ad esempio, investire nella tecnologia CCUS  per un impianto potrebbe costare fino a 1 miliardo di euro, e solo pochi impianti di grandi dimensioni e ben localizzati sono adatti alla cattura del carbonio. Di conseguenza, il consolidamento probabilmente favorirà anche un migliore utilizzo della capacità e quindi lascerà attivi  solo gli impianti più efficienti. (p.5, cfr. anche la nota 2 qui sopra)

 

Due diversi grafici mostrano che le cementerie che mescoleranno le forme più innovative di SCM  nel loro prodotto finale sopravviveranno alla decrescita della domanda, mentre quelle che resteranno ancorate ai processi e alle miscele tradizionali chiuderanno entro il 2050. Questa conclusione si basa sulla  previsione che i crediti gratuiti sulle emissioni di carbonio saranno eliminati e che i meccanismi transfrontalieri di compensazione  (carbon border adjustment mechanism, o CBAM) saranno applicati correttamente e dappertutto.

McKinsey scrive in conclusione che nei prossimi dieci anni l’ industria globale del cemento potrebbe invertire la tendenza di una crescita asfittica e  di moltiplicatori in declino. Ma non tutti ce la faranno.[5]

In Europa, dice McKinsey, le limitazioni alla emissione di CO2 segneranno uno spartiacque tra le aziende cementiere più avanzate, con impianti moderni e prodotti finiti che impiegano SCM,  e aziende arretrate, con impianti e processi obsoleti e scarsa innovazione di prodotto. Le prime sopravviveranno, le altre chiuderanno.

 

QUEL CHE MCKINSEY NON DICE

Il rapporto McKinsey presenta tre possibili vie per la decarbonizzazione del cemento:

  • Stoccaggio del CO2 sottoterra, una tecnologia tutt’ altro che matura e decisamente insicura nel lungo termine
  • Acquisto di certificati verdi da paesi in via di sviluppo (per esempio, promessa di piantare alberi in Amazonia: un impegno che si è rivelato difficilissimo da controllare)
  • Sostituzione parziale di clinker con altri materiali. Questo accade già, e dipende in parte dalla reperibilità dei sostituti. L’ innovazione principale proposta da McKinsey consiste nell’ impiegare scorie di altre industrie, in particolare acciaierie e centrali a carbone.

L’ultima è  la via più praticabile, tuttavia nella maggior parte degli esempi il clinker è  sostituito nel cemento con scorie di altri processi industriali, sulla cui composizione e nocività abbiamo meno informazioni che non sul clinker stesso.  In altre parole, si trasferiscono al cemento le scorie potenzialmente nocive di altre industrie.

La logica non è  molto diversa dall’ impiego di rifiuti (CSS) come combustibile: in entrambi i casi i residui nocivi di una industria vengono “nobilitati” attraverso il loro impiego in un’ altra industria.

In entrambi i casi i risparmi sulla emissione di CO2 da parte della cementeria sono irrisori. La sostituzione di clinker con SCM consente di ridurre di qualche punto percentuale la CO2 generata nella fase di produzione del clinker,  responsabile del 50 % della CO2 emessa complessivamente. La sostituzione di combustibili consueti con rifiuti CSS non ha effetti sensibili sulla generazione di CO2, in quanto si rimpiazza un combustibile con pari potere calorico.

Il motivo di ambedue queste sostituzioni con rifiuti non è  il potenziale risparmio di costi ma l’ aumento di ricavi che deriva dallo smaltimento di quei rifiuti tossici, e la possibilità di ottenere in questo modo a) crediti di CO2 e b) ricavi dal processo di smaltimento.

Inoltre, consente alle cementerie di ammantarsi di un comportamento virtuoso verso l’ ambiente.

In realtà, invece, l’ industria del cemento diventa due volte una discarica: la prima volta perché  incenerisce rifiuti CSS  per generare il calore necessario a produrre clinker. La seconda volta perché  sostituisce una parte del clinker con rifiuti e scorie di altre industrie.

Le scorie di industrie siderurgiche e energetiche (centrali a carbone) vengono già impiegate nella produzione di cemento.  La lobby mondiale del cemento (GCCA) calcola che 24% del mix di cemento sia già composto d SCM. Tuttavia, la pressione per ridurre le emissioni di CO2 farà crescere questo valore.  Poiché  le centrali a carbone in Europa stanno chiudendo, si potrebbe arrivare al paradosso di importare scorie delle centrali a carbone da altri paesi, dove ancora sono attive, per ridurre la quantità di CO2 generata da cemento Europeo.

Esattamente come già avviene nel caso dei grandi inceneritori di rifiuti, costretti a importare pattumiera da altri paesi perché  i loro cittadini non ne producono abbastanza.

 

NOTE

[1] https://www.mckinsey.com/industries/engineering-construction-and-building-materials/our-insights/the-future-cement-industry-a-cementitious-golden-age?stcr=8DD8671979BF4019A83577B6843F96EA&cid=other-eml-alt-mip-mck&hlkid=bea35f121592475cae186ead7719ea7d&hctky=11334774&hdpid=9f484e3c-1eb8-43bb-b752-8ff490b60c7c

[2] Si veda ad esempio il Sole 24 ore, 27 novembre 2024 p. 28; ‘Cementir, progetti da 1 miliardo per azzerare le emissioni al 2030′

[3] EBITDA = Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization, cioè utile lordo, prima di dedurre interessi su debiti, tasse sugli utili, svalutazioni e ammortamenti

[4] Quello della Brunello Cucinelli s.p.a. e’ 19,7

[5] However, as in every journey, not everyone will succeed. (p. 8)