Premesso che la Giunta Regionale, nella seduta del 15 giugno 2022, con Deliberazione n. 600, ha
preadottato il Piano Regionale per la Gestione Integrata dei Rifiuti, le sottoscritte Associazioni e
Comitati, sono a presentare le seguenti osservazioni.
La proposta di pianificazione contenuta nel nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti,
preadottato dalla Giunta, è del tutto inadeguata ai tempi, disattende completamente le esperienze e
gli esempi delle realtà che si sono dimostrate più virtuose in materia di gestione dei rifiuti, risulta
essere persino peggiore di quella del 2009 e rischia di danneggiare pesantemente la nostra Regione.
Il documento, oltre a riesumare una soluzione, quella della creazione di un nuovo inceneritore, del
tutto obsoleta e anacronistica, mette addirittura in discussione le pratiche virtuose che numerosi
Comuni dell’Umbria hanno realizzato.
La scelta di costruire in Umbria l’inceneritore con recupero di energia non è la soluzione adeguata
per le seguenti ragioni:
1) L’incenerimento dei rifiuti si contrappone ai principi dell’economia circolare. Infatti attuare un
modello di economia circolare vuol dire cercare di mantenere materiali e risorse nel sistema, nel
loro status più elevato, il più a lungo possibile.
Questo modello di sviluppo è diventato l’asse portante della politica europea perché è in atto una
crisi globale dovuta alla scarsità delle risorse che vede l’Europa in svantaggio competitivo, perché
importa la gran parte delle materie prime necessarie al proprio metabolismo industriale e produttivo.
La strategia dell’economia circolare è una strategia di efficientamento economico per creare
vantaggi economici e vantaggi occupazionali ed è in linea con gli obiettivi di sostenibilità
ambientale.
L’incenerimento dei rifiuti, come il co-incenerimento e la discarica sono opzioni da minimizzare
perché rappresentano una perdita netta di materiali e risorse dal sistema.
C’è un cambiamento di scenario a livello europeo certificato dal fatto che la costruzione di
inceneritori e il co- incenerimento non possono essere finanziati con i fondi del Recovery Fund o
Next Generation Eu, perché soggetti al principio del DNSH “non creare un danno alla Economia
circolare”, il che conferma che l’incenerimento non fa parte dell’Economia Circolare, ed anzi lavora
contro di essa.
2) Il recupero energetico da incenerimento, contrariamente a quanto afferma la giunta regionale,
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non è limitato alla sola frazione residuale, non riciclabile, ma si realizza soprattutto utilizzando
materiali riciclabili, che non vengono intercettati con i sistemi di raccolta differenziata. Come ci
mostrano le analisi merceologiche effettuate a campione da Arpa Umbria, circa il 90% dei materiali
che compongono il rifiuto secco residuo sono riciclabili. Dobbiamo cercare quindi di potenziare la
raccolta differenziata e intercettare queste tipologie di materiali, per avviarli a riciclo.
3) Dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico, produrre energia tramite incenerimento si
dimostra essere un fardello netto nel percorso verso la decarbonizzazione.
Infatti, a livello europeo e nazionale, si sta facendo sempre più ricorso ad una quota crescente di
energia rinnovabile e questo ha fatto sì che l’impronta carboniosa media della produzione
energetica in Italia si sia ridotta negli anni, raggiungendo oggi un valore di circa 250g CO2/Kwh.
L’impronta carboniosa media prodotta dall’incenerimento dei rifiuti invece è di 700-800 g di CO2
/Kwh, per tale motivo la stessa Danimarca, citata dall’Assessore Morroni quale esempio da imitare
per l’Umbria, ha appena annunciato un piano nazionale di riduzione del 30% delle capacità di
incenerimento. Mentre in altri paesi europei si stanno adottando moratorie e/o piani di
decommissioning, ovvero di spegnimento progressive degli inceneritori, in Umbria se ne prevede la
messa in funzione nel 2028-2030, in palese e pericolosa controtendenza rispetto al resto d’Europa.
4) L’inceneritore ingessa il sistema di gestione dei rifiuti perché ad oggi risulta essere la tecnologia
a maggiore intensità di uso dei capitali finanziari che si ha nel panorama della gestione dei rifiuti e
può garantire il ritorno degli investimenti solo con contratti di lunga durata a tonnellaggi garantiti.
I Comuni che sono collegati a tale impianto dovranno stipulare dei contratti in base ai quali
dovranno conferire un certo tonnellaggio di rifiuti l’anno, altrimenti saranno soggetti al pagamento
di penali come è già accaduto per i Comuni della Versilia.
Questo crea un effetto paradossale, perché i Comuni non saranno più incentivati a perseguire
percorsi di riduzione, riuso e riciclo dei rifiuti, in totale contrapposizione rispetto ai principi della
Economia Circolare ed alla gerarchia europea dei rifiuti.
La pianificazione e la strategia presentate con la proposta di nuovo piano regionale di gestione dei
rifiuti per l’Umbria sono pesantemente condizionate e penalizzate dalla volontà di realizzare un
“termovalorizzatore” (i.e. inceneritore) nella nostra regione.
Infatti, la scelta di realizzare un inceneritore della capacita annua di 160 mila tonnellate non è legata
alle future esigenze di smaltimento della nostra Regione, ma è subordinata ad una taglia minima
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atta a consentire la sostenibilità tecnica ed economica dell’impianto da realizzarsi e del suo gestore.
Da qui, risulta evidente che prima è stata decisa la capacità annua di rifiuti da avviare ad
incenerimento nella nostra regione e poi si è passati a pianificare la strategia di gestione dei rifiuti,
che è stata quindi subordinata alla necessità di produrre quantitativi certi di secco residuo e scarti da
raccolta differenziata per alimentare tale impianto di incenerimento.
La gerarchia europea dei rifiuti, pertanto, oltre a non essere stata rispettata, come si evidenzia dagli
scenari di piano, è stata fortemente danneggiata.
Il primo punto della gerarchia europea prevede di mettere in campo azioni volte alla prevenzione
della produzione dei rifiuti.
In merito tale obiettivo, il muovo piano regionale prevede una riduzione complessiva di rifiuti
urbani prodotti al 2035, rispetto all’anno 2020, di sole 20.000 tonnellate di rifiuti in meno, con un
quantitativo di rifiuti totali da gestire di 419.702 tonn.
Per giustificare la previsione di leggero calo di produzione dei rifiuti, si afferma quanto segue: “le
attività di Prevenzione del rifiuto e di Riuso (P&R) non trovano ancora né a livello europeo né
italiano scale di applicazione così elevate tali da fornire «modelli gestionali» consolidati come
quelli individuati per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti”.
Eppure nel 2018, l’AURI aveva conferito alla Società Coop E.R.I.C.A. l’incarico per la redazione
del capitolo del Piano d’Ambito inerente le politiche di prevenzione e riduzione della produzione
dei rifiuti.
La suddetta società aveva prodotto un documento contenente uno scenario evolutivo che, a seguito
dell’attuazione degli interventi di prevenzione e riduzione previsti da tale elaborato, prevedeva, al
2030, una produzione di rifiuti pari a circa 330.000 tonn. (30% in meno rispetto al quantitativo
prodotto nel 2016).
Se confrontiamo i due elaborati, si evidenzia che, attuando il piano della società Coop E.R.I.C.A.,
tuttora valido, si andrebbero a produrre circa 100 mila tonnellate di rifiuti in meno rispetto alle
previsioni del piano regionale, con 5 anni di anticipo.
Si sottolinea inoltre come, già le previsioni realizzate dal comitato tecnico scientifico contenute
nell’aggiornamento del piano regionale siano state totalmente disattese e riviste perché sovrastimate
rispetto al dato reale prodotto negli anni 2020 e 2021.
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Anche il modello di raccolta dei rifiuti si prevede che subisca le seguenti modifiche:
● Il Modello d’intensità che, nel piano regionale del 2009, era caratterizzato da una raccolta
porta a porta integrata secco-umido, con frequenza elevata e contenitori più piccoli come
volume, verrà integrato da sistemi di raccolta stradale con sistemi ingegnerizzati per
particolari conformazioni urbanistiche.
● Il Modello d’area vasta, subirà ancora più profondi cambiamenti rispetto alla pianificazione
prevista nel precedente piano regionale. Da un modello porta a porta caratterizzato da
frequenze di raccolta medio-basse e con contenitori per la raccolta grandi, con raccolta
dell’umido di prossimità, si tornerà ad un modello di raccolta stradale caratterizzato da
prevalente uso di contenitori ingegnerizzati.
La raccolta stradale verrà integrata con servizi domiciliari per utenze non domestiche ad elevato
tasso di produzione.
Il piano regionale del 2009 prevedeva la progressiva sostituzione della raccolta stradale con
l’estensione del porta a porta su tutto il territorio regionale; sostituzione, che, tuttavia, a causa di
continui ritardi nella riorganizzazione del servizio, non è avvenuta in maniera omogenea. La nuova
pianificazione sancisce, al contrario, il ritorno alla raccolta stradale!
Non si comprendono i motivi di tale sventurata scelta, anche in considerazione del fatto che il sub
ambito 4, che, ad oggi, vanta i migliori risultati ottenuti in materia di gestione dei rifiuti a livello
regionale, è l’unico ambito territoriale ad aver sostituito su tutto il territorio di competenza il
modello stradale, con il porta a porta, e ad aver eseguito la riorganizzazione del servizio secondo la
vigente pianificazione regionale, che, in tal senso si è pertanto dimostrata vincente.
Infatti, la provincia di Terni, nel 2020, ha prodotto 439 kg/ab anno di rifiuti pro capite mentre la
media regionale è di 504 kg/ab anno, il sub ambito 4 è l’unico ad aver superato gli obiettivi
regionali di raccolta differenziata e vanta la più bassa produzione di rifiuto secco residuo, con un
pro capite, al 2020, di 125 kg/ab, contro i 170kg/ab, della media regionale.
La raccolta stradale ingegnerizzata ha gli stessi difetti della raccolta stradale tradizionale dato che
non responsabilizza il cittadino, perché nessuno potrà controllare, come ad esempio è possibile fare
per la raccolta porta a porta, la correttezza del rifiuto conferito da parte dell’utente. Il risultato netto,
come mostrato chiaramente dalle ricerche condotte nel contesto emiliano-romagnolo (basate sui dati
ufficiali regionali e che ci stupiamo non vedere considerate nelle valutazioni degli estensori del
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Piano!) sono produzioni specifiche più elevate, minori tassi di RD e soprattutto una qualità
marcatamente inferiore delle frazioni differenziate, il che genera flussi di scarti considerevolmente
superiori. La qual cosa può essere funzionale a “gonfiare” artificiosamente il tonnellaggio da
avviare ad incenerimento, ma non certo alla efficienza operativa e sostenibilità ambientale ed
economica del sistema regionale.
Anche in virtù dell’applicazione della tariffazione puntuale, i risultati che si otterranno
dipenderanno molto dal sistema di raccolta adottato.
Con l’applicazione della tariffazione puntuale, su un modello porta a porta spinto, si ha come
risultato immediato il dimezzamento del rifiuto urbano residuo e numerosi vantaggi economici
come l’aumento dei proventi, la riduzione dei costi di smaltimento e l’ottimizzazione del servizio di
raccolta.
Con l’applicazione della tariffa puntuale su un sistema di raccolta stradale ingegnerizzato, invece, si
verificano spesso fenomeni di abbandono di rifiuti nei pressi dei cassonetti e il fenomeno della
migrazione dei rifiuti indifferenziati verso altri tipi di raccolte, pregiudicando le restituzioni CONAI
e i tassi di riciclo netto – su cui, rammentiamo, vanno calcolati i nuovi obiettivi come da
disposizioni UE.
Il sistema stradale ingegnerizzato, infatti, non consente la responsabilizzazione diretta dell’utenza
rispetto alla gestione del proprio contenitore e relativo contenuto, ed è perciò intrinsecamente
incline a generare impurità a due cifre dei vari materiali raccolti, e questo viene amplificato dalle
operazioni di selezione che, massimamente nel caso dell’organico (ma non solo), assieme alle
impurità scartano anche molto materiale riciclabile o compostabile, come a più riprese rimarcato dal
Consorzio Italiano Compostatori nelle sue ricerche, che hanno messo in risalto il fenomeno e la sua
amplificazione per il “fattore di trascinamento”; ricerche che invitiamo a esaminare e considerare.
In merito a questo aspetto, si evidenzia il grave errore di valutazione riportato dal CTS, che, nel
documento di aggiornamento del piano regionale, affermava che il recupero di materia ottenuto nel
contesto territoriale preso a riferimento, gestito dalla Società Hera, raggiungerebbe valori superiori
al 95% di quanto raccolto, per tutti i materiali. Una tale affermazione, che ci appare del tutto
sfornita di prova, e in contraddizione con le già menzionate evidenze provenienti dal contesto
emiliano-romagnolo, potrebbe essere suffragata solamente dalle analisi merceologiche eseguite, atte
a certificare la predetta affermazione. Quindi, quale atto dovuto, ci aspettiamo che il CTS pubblichi
i predetti dati e certificazioni, perché noi abbiamo ampie, ampissime evidenze del contrario.
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Un’altra valutazione approssimativa e priva di fondamento è stata riportata nel documento di
proposta del piano regionale laddove si afferma quanto segue: ”un altro aspetto che emerge dalla
lettura dei dati relativi alle raccolte differenziate è mostrato, per la sola Frazione Organica, nella
figura seguente dove si osserva che all’aumentare della percentuale di intercettazione (raccolte più
spinte) si contrappone, anche se più lieve, una diminuzione della qualità del rifiuto che comporta,
quindi, una maggiore percentuale di scarti.”
I tecnici che hanno redatto il documento avrebbero dovuto per lo meno confrontare la qualità dei
rifiuti organici con la tipologia di raccolta attivata sul territorio. Ci sono numerose analisi
merceologiche realizzate da Arpa Umbria che dimostrano che, con un modello di raccolta porta a
porta spinto per la frazione organica, si ha una percentuale di materiale non compostabile inferiore
al 5%, con una conseguente ottima qualità del rifiuto raccolto.
Le raccolte di prossimità per la frazione organica invece hanno percentuale di scarti di oltre il 15%
con una conseguente scarsa qualità.
In conclusione, con il nuovo modello di raccolta proposto nel nuovo piano regionale si avrà un
marcato peggioramento della qualità dei materiali raccolti nel territorio regionale e una concreta e
preoccupante probabilità di non raggiungere l’obiettivo del 65% di riciclo entro il 2035. Il che,
come già evidenziato, può risultare funzionale ad una strategia incentrata sulla necessità di generare
flussi minimi vitali per l’incenerimento, ma non di certo ai principi di sostenibilità ambientale, ad
una corretta gestione dei rifiuti, in linea con la normativa europea oltre che al nuovo modello di
Economia Circolare.
5) L’inceneritore non elimina la discarica anzi, la raddoppia, richiedendo discariche sia per rifiuti
non pericolosi (le ceneri pesanti o “scorie”, purché la cosa venga confermata da test di rilascio) che
per rifiuti pericolosi (le ceneri volanti).
Le discariche, secondo quanto riportato nel piano regionale, riceveranno annualmente, dopo la
messa in funzione dell’inceneritore, circa 30.800 tonnellate di rifiuto, a seguito di varie fasi di
trattamento.
Secondo le stime effettuate nella proposta di piano, il quantitativo di rifiuto urbano indifferenziato
raccolto al 2035, rispetto al 2020, decresce di sole 30.000 tonnellate circa, confermando quanto
detto in precedenza ovvero che la realizzazione dell’inceneritore influenza a cascata le varie scelte
strategiche, ingessa il sistema ed impedisce la pianificazione di strategie di gestione dei rifiuti in
grado di minimizzare il quantitativo di rifiuti indifferenziati da avviare a smaltimento.
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Durante la fase a Regime vengono avviate all’inceneritore circa 140.000 tonnellate di rifiuto
derivanti dal ciclo di gestione dei rifiuti urbani.
Considerando che viene eliminata la fase di trattamento meccanico biologico (TMB) e viene
avviato ad incenerimento con recupero energetico il rifiuto tal quale, indifferenziato, si evidenzia
che non verrà più emessa la sola CO2 biogena, rilasciata durante la biostabilizzazione, ma verrà
emessa anche tutta quella fossile, che aumenta l’impronta climalterante (con impatti marcati e
negativi, in prospettiva, anche sul versante economico, visto che nell’arco temporale 2026-2031,
l’incenerimento dovrà entrare nello Emission Trading Scheme e si pagherà per la CO2 fossile
emessa, con una previsione di incidenza aggiuntiva, sul costo di incenerimento, di circa 50-60
Euro/t).
I rifiuti inceneriti genereranno scorie per circa il 22,5%, mentre il 5% del totale costituiranno le
ceneri leggere.
Ai fini del computo dell’utilizzo delle discariche nelle previsioni di piano si è considerato che per il
90% le scorie verrebbero recuperate ai fini del recupero di metalli e della produzione di aggregati
artificiali mentre il restante 10% confluirebbe in discarica.
Fermo restando che non sappiamo se dal punto di vista sanitario è sicuro utilizzare, a scopo di
costruzioni o per fare sottofondi stradali, materiale in cui si vanno a concentrare tutte le sostanze
pericolose che erano presenti nei rifiuti che abbiamo incenerito (e ci sono evidenze del contrario),
sta di fatto che, se la percentuale di recupero delle scorie è minore delle previsioni (come peraltro
parrebbe da tutte le esperienze in corso!) questi rifiuti dovranno essere smaltiti comunque in
discarica.
L’architrave di tutta la pianificazione regionale, che emerge dal nuovo piano regionale, è molto
debole e assolutamente discutibile, in quanto, come ci aspettavamo, ruota tutta intorno all’obiettivo
europeo del 10% della produzione totale di rifiuti, quale percentuale massima conferibile in
discarica, da raggiungere entro il 2035, che costituisce un alibi, dietro al quale si celano scelte
scellerate. Al CTS e alla Regione pertanto appaiono sfuggire gli obiettivi intermedi e il fatto che il
predetto obiettivo non è a tutt’oggi definitivo, essendo oggetto di discussione a livello europeo, e di
ben due votazioni già avvenute in seno al Parlamento Europeo; votazioni e richieste incluse alla
Commissione UE, che fanno presagire la revisione od addirittura la abolizione (nell’ambito della
“mid term revision” del Pacchetto Economia Circolare, che avverrà nei prossimi 2 anni), del
Landfill Cap del 10% e una sua possibile sostituzione con un “residual waste cap” o sua espressione
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non più in percentuale, ma in kg/ab, il che consentirà di includere nel calcolo l’effetto delle strategie
di riduzione, riuso e di aumento ulteriore della raccolta differenziata e riciclo. A fronte di questo,
affrettarsi a impostare le valutazioni strategiche su un obiettivo al 2035, quando tale obiettivo
potrebbe essere rivisto prima, ha tutto il sapore di “voler sfruttare l’argomento finché possibile”. Un
approccio, con ogni evidenza, irricevibile. Ma l’aspetto che suscita maggiore perplessità, in termini
di conoscenza approfondita del settore, è la formula fallace posta alla base della proposta: fatto 100
il totale del rifiuto, tolto il 65%, che rappresenta la percentuale minima di riciclo prevista
dall’Unione Europea per il 2035, sottratto il 10% ovvero il limite di conferimento in discarica,
rimane un 25% di rifiuto residuo, che, secondo tale costruzione, rappresenterebbe la percentuale da
inviare ad incenerimento.
Fallace in quanto, il 65% di percentuale di riciclo netto rappresenta di fatto l’obiettivo minimo e
certamente, con una raccolta porta a porta, spinta e di qualità, di qui al 2035, l’Umbria ha tutte le
capacità per arrivare ad una drastica riduzione di quel 25% di rifiuti/scarti che vorrebbero destinare
ad incenerimento, ponendosi di fatto in totale controtendenza con tutte le realtà virtuose e con gli
altri Paesi Europei, anche quelli con maggiore presenza di inceneritori, che tanta materia
sottraggono all’economia circolare, i quali stanno pertanto, come detto, rivedendo le loro strategie,
eliminando progressivamente tale pratica dannosa e ormai obsoleta, con moratorie e/o piani di
“decommissing” progressivi della capacità esistente.
Va anche ribadito che l’incenerimento e il co-incenerimento non sono certamente le uniche opzioni
di trattamento del RUR, né le uniche opzioni che consentono di ridurne l’avvio a discarica. Esistono
ad esempio impianti di trattamento meccanico biologico evoluti, comunemente denominati
fabbriche di materiali e sistemi di selezione del RUR, che riescono a recuperare i materiali
riciclabili presenti nell’indifferenziato, garantendo, inoltre, l’elasticità del sistema e riuscendo a
trattare sia il rifiuto residuo che la raccolta differenziata.
Le associazioni riunite nel Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero e i referenti umbri di
Zero Waste Italy avevano presentato, nell’aprile 2020, una dettagliata proposta di piano regionale,
supportata peraltro da numerosi cittadini, associazioni e Sindaci, a cui la Regione e lo stesso CTS
non hanno mai dato risposta e su cui non hanno mai inteso confrontarsi.
La nostra proposta è pensata per creare in Umbria un modello di vera “economia circolare”, che,
laddove non lo si sappia, non è e non può essere sinonimo di “gestione rifiuti” (ed infatti
l’incenerimento non è incluso nei modelli codificati di Economia Circolare a livello internazionale,
essendo per definizione lineare e rappresentando un “leakage”, una perdita netta di materiali e
risorse dal sistema); un modello che abbia tra i suoi assi portanti la riduzione della produzione dei
rifiuti, il riuso, il riciclo, la riparazione e la riprogettazione e che quindi si propone di creare un
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contesto che favorisca la creazione di opportunità imprenditoriali e occupazionali, dove etica e
profitto possano coesistere.
Ma veniamo ai numeri più rilevanti che sono quelli della produzione di rifiuti, secondo lo scenario
da noi proposto. Attuando l’elaborato redatto nel 2018 dalla società Erica, su mandato dell’Auri, e
prontamente messo nel cassetto, incentrato sulle politiche di prevenzione e riduzione della
produzione di rifiuti, si potrebbe raggiungere un obiettivo pro capite di produzione dei rifiuti di
360kg/ab/anno, già al 2030, per un totale di circa 330.000 tonnellate prodotte e una riduzione totale
di rifiuti prodotti di circa il 27%, in 8 anni. Estendendo su tutto il territorio regionale il modello
porta a porta spinto, con tariffazione puntuale, già al 2030, si raggiungerebbe l’85% di raccolta
differenziata. Al rifiuto residuo prodotto può essere ulteriormente sottratto un 50% della frazione
secca, se si realizzasse un impianto di fabbrica dei materiali, avviando a riciclo quanto intercettato
nel ciclo dell’indifferenziato. Sulla base del predetto scenario, al 2030, prevediamo un quantitativo
di rifiuti da smaltire in discarica che si aggira attorno alle 35.000 tonnellate, con il vantaggio di
disporre di una progettazione impiantistica flessibile e modulare, che favorisce il miglioramento
progressivo del sistema e degli obiettivi da raggiungere, tanto in termini di riduzione della
produzione di rifiuti che di materiale intercettato e avviato a riciclo e, dunque, di tenersi pronti ad
accogliere ulteriori innalzamenti della barra delle ambizioni, come è sempre avvenuto negli ultimi
decenni in Italia ed Europa.
Inoltre, con la nostra proposta, a differenza della nuova strategia di Piano della giunta regionale, che
prevede una fase di attesa per la realizzazione dell’inceneritore, si potrebbe iniziare da subito a
ridurre i quantitativi di rifiuti che oggi smaltiamo in discarica. La proposta di Piano regionale invece
prevede un periodo di transizione, in cui si ipotizza che verranno conferiti in discarica una media di
141 mila tonnellate di rifiuti all’anno, con la necessità, quindi, di aumentare il fabbisogno
volumetrico di discarica totale aggiuntivo rispetto a quanto oggi disponibile sugli impianti di
bacino, variabile tra 1.200.000 m3 e 1.000.000 m3, per soddisfare le esigenze di conferimento del
sistema integrato dei rifiuti urbani regionale nel periodo transitorio. Durante la fase a regime
prevista dalla Regione entro il 2028-2030 dovranno essere previsti ulteriori nuovi ampliamenti di
volumetria delle discariche umbre a conferma della tesi che l’incenerimento dei rifiuti non è
alternativo alla discarica, ma anzi, una volta che si abbandoni il fallace parametro delle percentuali,
comporta considerevoli volumetrie di discariche di servizio, per non parlare di quelle necessarie in
attesa della realizzazione dell’inceneritore.
FIRMATARI
Zero Waste Italy – Referenti per l’Umbria
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Osservatorio Borgogiglione
Movimento Difesa del Cittadino di Perugia APS
Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero Aps
ISDE- Medici Per l’Ambiente
Comitato No Inceneritori di Terni
Rifiuti Zero Spoleto
Cittadinanzaattiva Umbria Aps
Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud
Comitato NoCss nelle Cementerie
Comitato Gubbio Salute Ambiente
Comitato per la Tutela Ambientale della Conca Eugubina
Comitato per la Tutela dei beni Culturali e Paesaggistici Gubbio
Comitato No Antenna
Ecologicpoint Aps
Fridays For Future Perugia
Comitato Monteluiano